domenica 24 aprile 2011

Dal balcone

Non che avesse vissuto per quel momento, questo non è vero. Tuttavia Roberto, intorno alle dieci di sera, i ragazzi ormai a letto, appoggiò il bicchiere con un fondo di whiskey e si trovò stanco. Sole e mare, camminate, letture, relazioni umane. La riparazione di una tapparella uscita dai binari, la pompa per gonfiare una ruota di bicicletta. Il sole caldo sulla pelle, l'aperitivo, l'odore della sua donna e l'immagine insostenibile della sua pelle nuda che poteva accarezzare. E più tardi una bella cena e momenti complessi, un vino strutturato, una compagnia in forma e piacevole, affettuosa e sfidante. E poi spiegazioni, moti d'affetto, discussioni mentre il treno passa sulla vicina ferrovia. Tentativi di far prevalere un punto di vista portando la forchetta alla bocca. E poi con il sole che scavalca il perimetro del mare, da quella zona dove nascono soltanto colori, la serata si spegne tra i mormorii, gli ultimi bicchieri e qualcuno che si alza. Come si fa a non essere stanchi dopo appena un decimo di queste emozioni? A casa quieta, arrivò il momento del silenzio, della vita custodita, delle persone di cui, restando sveglio, ci si prende cura come la cosa più naturale del mondo. E' allora che viene il momento del balcone. Sarebbe stupido vivere in funzione di questo ma non di meno è la conclusione perfetta di una giornata.

Roberto appoggiò il bicchiere, raggiunse l'alta sedia in vimini e afferrò una felpa azzurra, un indumento di sua figlia. In casa regnava il silenzio e Roberto sfilò accanto a sua moglie che dormiva sul divano, respirando lieve, bella come al solito.

- Siamo i forzati della sigaretta.
Roberto sentì la voce della donna arrivargli dal balcone in alto a destra. Era una vicina che conosceva, o meglio, di cui sapeva qualcosa. Viveva al piano sopra di lui, ma nella parte destra del caseggiato. Roberto li aveva incontrati più volte, ne vedeva talvolta le gambe o ne udiva le voci, quando lei con in marito si sedevano sulle sdraio nel grande balcone che dava sul mare, nella parte frontale della grande casa bianca e azzurra, il balcone ampio che pareva la vela gonfia di vento di un galeone. Era la signora che aveva avuto un tumore (glielo raccontò Serena, sua moglie?). Non ricordava il nome, naturalmente, sapeva che aveva circa sessant'anni, una persona gioviale, tarchiata, coi capelli grigi e corti, gli occhiali rotondi e la parlantina schietta di una regione del Nord. Era un po' matta, parlava ad alta voce, badava ogni tanto a un nipote, spostandolo in carrozzino, era sposata con un vigoroso signore asciuto e cortese che andava in bici e aveva i capelli bianchi, una presenza riservata, vigorosa, gentile, tutto questo all'interno, chiuso e rivettato, di un paese di mare in Liguria.
- Stasera fa freddo e siamo qui sul bancone. Continua la donna aspirando.
Roberto ebbe un moto di stizza, per la violazione della sua intimità. Fumare una sigaretta al balcone, rivolti alla montagna scura e al respiro del vento, il frastagliato profilo dell'orto a dieci metri dalla ringhiera, le due casette addormentate che fanno da sfondo, fumare quella sigaretta era un pretesto per pensare se stessi ed ora questo pretesto era soltanto segatura. Ma respinse il moto di stizza. C'era qualcosa. Qualcosa che non si poteva ridurre a un'emozione di quarta categoria.
- Signora. Buonasera. Sì, siamo i forzati della sigaretta, rispose, iniziando a farsi embrioni di domande.
- Mi son dovuta coprire, stasera fa freddo.
Roberto drizzò la schiena e si passò le mani sui fianchi: - Mi sono infilato la felpa di mia figlia, io. E a parte il fatto che è rosa, è stretta. La prima cosa che ho trovato in giro, sapevo che faceva troppo freddo. Probabilmente le sembro ridicolo.
- Se lei sapesse quante cose trovo ridicole alla mia età, non credo che si preoccuperebbe di una felpa rosa.
- Sono sollevato, rispose Roberto fumando e pensò che lui stesso era circondato, letteralmente da cose ridicole o disperate. Lui stesso, ne era certo, era un caso da manuale.
- Non conto più le volte che sono uscita qua fuori. Non mi piace fumare al chiuso, in casa. Tante volte ci sono i nipoti, non è giusto che respirino il fumo. E alla mattina si apre la finestra, per dare aria. Ma non mi piace lo stesso. E allora preferisco il vento, come stasera.
- Anche io cerco di non fumare in casa. Non ci riesco sempre. E non mi dispiace venire qui fuori. C'è un'aria molto bella. Non ce l'abbiamo spesso quest'aria, noi. Magari lei ci è abituata. Sa quando è fredda. Sa quando è calda. Per me c'è troppo vento stasera. Ma me la godo lo stesso.
- Io vengo da Trieste, figuriamoci se non conosco l'aria e il vento Lo sa che il vento peggiore qui dove siamo è il Grecale? Cioè la Bora. Spira da lì, la donna indicò un punto alla destra, una traiettoria che si perdeva tra le montagne, il traliccio all'orizzonte a lui parve di raggiungere in un baleno, attaccato a quel dito, prima il delta del fiume e poi le pianure dell'Istria, piene di gente barbuta.
- E' lui il filo conduttore che mi ha portato da là a qui. Ci ha mai pensato?
- A cosa?
Roberto tornò sul balcone, con ancora gli idiomi croati e serbi che s'arrotolavano nelle orecchie. Fece un altro tiro. Sputò il fumo piano.
- Al vento. Non lo ferma nessuno. Da Trieste alla Liguria. Perde vigore, di questo può starne certo. Ma arriva. E se non arriva io ne sento la mancanza.
- E' un'immagine molto bella, annuì Roberto e s'appoggiò alla ringhiera bianca di quel bancone stretto, con i panni che rinfrescavano nella notte, appesi ai fili.
La donna si protese un poco verso l'esterno, verso di lui. Le luci soffuse di Villa Zelda a centro metri, a ridosso della falda più ripida della montagna che aveva palme ed agavi incastrate nella roccia, quelle luci soffuse rendevano ammissibili il nero scuro della montagna e dei suoi alberi contorti.  
- Ammiro molto la vostra conoscenza dei venti. Credo che sia molto affascinante (come quella di chi ripara orologi, o pesca, o smonta una bicicletta - pensò Roberto).
- Lo è. Ma noi ci siamo costretti. Voi riconoscerete, magari, le cime delle montagne, e in pianura i campanili. Noi riconosciamo i venti. Si ricorda stamattina, quando mi ha salutato che io ero alla finestra?
- Sì.
- Beh lei non si è visto, ma io l'ho guardata bene.
Roberto si girò verso la donna, pensando a cosa c'entrava questo con i venti, si protese un poco reggendo la sigaretta ormai corta tra le dita sottili, perchè la voce le arrivava piano.
- Lei sorrideva, disse quella e poi non disse più niente.

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