Il cestello della lavastoviglie faceva circa ottocento giri al minuto. Ecco la ragione di tanto fracasso. Un po' più di tredici giri al secondo, ve lo immaginate? Provate a impugnare un semplice spago, all'estremità del quale avrete legato un peso, tipo l'astuccio della scuola. Ora provate a farlo girare tredici volte in un secondo.
- Sonia!
E' evidente che il corpo umano ha dei limiti, voglio dire, non è un motore, nessuno pompa dentro di noi elettricità e non abbiamo una cinghia di trasmissione, ma solo muscoli, tendini, ossa e sangue, niente a che fare con una cinghia, le ruote dentate e via dicendo. E poi abbiamo un cervello che comanda il tutto, certamente. Un cervello molto più intelligente del circuito stampato della lavatrice. Però non riusciamo certo a far girare l'astuccio a quella velocità.
- Sonia si può sapere perché non mi rispondi? - chiede la donna con uno sguardo tra l'arrabbiato e lo stupito, appena dentro la camera.
Sonia si gira e lascia cadere la penna. La mamma.
- Che c'è?
- C'è che ti sto chiamando da mezz'ora, dobbiamo uscire adesso se vogliamo fare in tempo.
- Arrivo.
- E abbassa la musica, si sente in tutta la casa!
Chiude il libro con dentro il quaderno. Raggruppa biro e matite. Inciampa con lo sguardo nel poster dei Green Day.
Sonia dentro il letto, si passa le mani sul torace, sotto il pijama, in cerca di un indizio di seno, nemmeno lei sapendo perché. Sente qualcosa di duro, che fa resistenza, come un sasso piatto di fiume che spinge tra le ossa e la pelle bianca di efelidi.
- Dove siete...
La mattina esce di casa e si avvia alla fermata, reggendo lo zaino sulle spalle. Piove ed è tutta chiusa in un sacco impermeabile rosso, che odia con tutte le sue forze. Porta un ombrello con le orecchie da peluche e per la prima volta le capita di osservarlo come se non fosse suo, come se fosse un oggetto misterioso, incomprensibile: un orso sulla testa, come se io fossi una bambina. Sul bus si accomoda nei sedili in fondo, lato finestrino, lo zaino tra i piedi e l'odore dei vestiti bagnati, della pelle umida. Regola il volume e nelle cuffie si sente il raggae di Derrick Harriott. Le gocce si allungano sul vetro e il bus traballa e le persone oscillano appese ai pali di zinco, come tanti impiccati. Hasha non salirà sul bus come tutte le mattine, all'altezza della Piazza e non la raggiungerà sorridendo, con il fazzoletto sui capelli. Ha la febbre e non ci sarà a scuola. Ha sempre la febbre Hasha ultimamente. Sta succedendo qualcosa a casa di Hasha ma Sonia non capisce cosa, forse nemmeno Hasha lo sa di preciso. Non gliene parla. La musica finisce e il frastuono delle voci e dei rumori si affaccia alla sua coscienza.
- Sai, credo che agli uomini non importi poi molto di quello che hai fatto prima.
- Prima di che?
- Prima di stare con loro!
- Stai scherzando? Certo che gl'importa!
- Lorenzo…
- Lorenzo è un caso a parte, non puoi ricondurre l'universo maschile a Lorenzo.
- Ti dico che non gliene frega un bel niente.
Suonerie che vibrano, che suonano. Voci.
Quando scende dall'autobus s'incammina lungo la pensilina, per raggiungere le strisce e a un certo punto, mentre cammina, la coglie una vertigine sottile, che le prende lo stomaco e le viene in mente il Natale, ma non quello appena trascorso, un Natale passato, in cui ricordava che era stata molto bene. Si stringe tra le braccia, mentre cammina, cercando d'inseguire quella sensazione di languore, cercando di costruire qualche immagine della memoria, invano. E poi torna insieme agli altri, insieme alle file di ragazzini colorati che si dirigono verso l'edificio, come tanti rivoli che assecondano un dislivello e si gettano nella pozza. Una donna grida qualcosa, distante. Sonia guarda il volto di un uomo dietro un vetro appannato, in una vettura, un volto rigido, gonfio, vecchio.
- Entriamo?
- Haisha! Stai bene?
- Sì. Dai che piove.
Il padre di Anton passa loro a fianco, con l'impermeabile che svolazza e gli occhiali bagnati, saluta le ragazzine a cenni e parla al cellulare, è solo una roba marketing, fatta, male, da cinque cretini.
- Credi che a Natale ci spunta il seno?
- Ma che stai dicendo. Sbrigati! Mi si bagna tutto il fazzoletto.
- Sono sicura che hai quello di ricambio.
- Certo che ho quello di ricambio.
- Sempre dello stesso colore di questo.
- Cambiare fazzoletto troppo spesso significa essere vanitose e a me non piace esserlo. Usare lo stesso colore è meno vanitoso, almeno così dicono.